Il “numero chiuso” fra carenza di medici e necessità di riforme strutturali
novembre 2020
di Andrea Nicatore
Avvocato
In questo periodo l’emergenza del Coronavirus ha messo a dura prova il sistema sanitario nazionale durante la prima ondata e la situazione si sta ripetendo ora con l’ arrivo della seconda ondata.
Questo stato di cose ha fatto emergere in tutta la loro eclatante evidenza le problematiche che attanagliano da anni la sanità tra riduzione della medicina territoriale, taglio di posti letto e gravi carenze di personale specializzato e medico sanitario.
Se è vero che un sistema non può essere valutato sulla base di un evento eccezionale qual è l’emergenza in corso, è altrettanto vero che da anni tali problematiche erano note ed oggetto di dibattito.
Ben prima della pandemia la prevenzione e la medicina territoriale erano già state ridotte al minimo; il taglio di posti letto e, soprattutto, il limite di accesso alla professione medica avevano fatto il resto: la carenza di medici in Italia, ormai cronica, è, infatti, apparsa ancora più evidente in tutta la sua drammaticità in questo anno 2020.
Scelte simili a quelle italiane le aveva fatte in passato anche la Germania, con la differenza che la Cancelliera Merkel, accortasi del divario che si stava creando fra bisogni sanitari della popolazione e disponibilità di personale e strutture, ha utilizzato le politiche migratorie per l’assunzione di medici e infermieri.
Certo è che quanto deciso fino ad oggi si è rivelato, alla prova dei fatti, frutto di scelte politiche non corrette. Se è vero, come diceva Churchill che il politico diventa uomo di stato quando inizia a pensare alle prossime generazioni invece che alle prossime elezioni possiamo dire che i governi succedutisi negli ultimi vent’ anni non sono stati, quantomeno, lungimiranti.
Ed il problema più grave è apparso proprio quello della carenza di personale: se un ospedale quanto meno provvisorio può essere costruito in poco tempo, se i macchinari possono essere acquistati in qualsiasi momento, per formare operatori qualificati ci vogliono anni, tanto che negli ultimi mesi il sistema è dovuto ricorrere a medici in pensione, medici militari e persino medici neolaureati senza un’adeguata formazione.
Fino alla fine degli anni ’90, si è assistito ad una parabola all’ esito della quale si è arrivati a garantire un accesso generalizzato alla facoltà di medicina. Fino al 1923 la facoltà di Medicina era accessibile solo a chi avesse frequentato il liceo classico, poi le sue porte si aprirono anche a chi proveniva dal liceo scientifico.
Così fu fino al 1969 anno in cui la facoltà di Medicina venne aperta a tutti i possessori di un diploma di maturità, di qualunque tipo e ciò fino al 1999 quando il Parlamento, in totale controtendenza, approvò la Legge Zecchino che istituiva per alcune facoltà, fra cui Medicina, il numero programmato: ogni università avrebbe definito annualmente il numero massimo di studenti accoglibili sulla base dei docenti, degli insegnamenti, delle strutture e del fabbisogno stimato di medici.
In realtà i meccanismi di calcolo del fabbisogno annuo ai fini della determinazione del numero programmato sono, come al solito nel nostro paese, molto più complicati e prevedono gli interventi di diversi organismi: Ministro della salute, Conferenza Stato-regioni, Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, altri Ordini e Collegi professionali interessati, Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica.
La legge rappresentava, in realtà, un adeguamento da parte del governo alla normativa europea che disciplinava le modalità di formazione degli studenti di Medicina e Chirurgia in ambito continentale e di come i loro titoli dovessero essere equiparati nei vari paesi membri al fine di agevolare la libera circolazione dei medici e il reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli.
Con questa disposizione, la futura Unione Europea di fatto richiedeva che i paesi membri attuassero tutte le procedure volte a favorire la circolazione dei medici, conseguentemente limitandone la formazione di nuovi, avendo virtualmente ampliato il loro bacino di prelievo a tutto il suolo europeo.
Nel 2013 la legge sul numero programmato ha superato il vaglio sia della Corte di Giustizia dell'Unione europea, che della Corte Costituzionale italiana.
Al di là della legittimità dei provvedimenti non vi è però dubbio che il sistema non abbia funzionato se la grave carenza di medici ed infermieri, che lo stesso Governo e i vari Governatori delle Regioni hanno riconosciuto, si attesta, secondo alcune fonti, sulle 56mila unità e che nel giro di dieci anni col meccanismo dei pensionamenti supererà le 70 mila unità.
Sull’ accesso programmato nel corso di questi anni gli addetti ai lavori e l’ opinione pubblica si sono trovati schierati su due fronti opposti: da un lato gli studenti che aspirano agli studi medici che hanno denunciato un sistema incostituzionale e comunque inidoneo a garantire alla sanità future risorse potenzialmente molto qualificate (ciò anche per come sono strutturati i test d’ ingresso) e dall’ altro i rettori delle università gli stessi studenti di medicina una volta entrati e gli ordini professionali che hanno evidenziato l’ impossibilità per il sistema universitario di assorbire numeri più elevati di studenti (per le strutture, per il corpo docente e per i limiti di accesso alle scuole di specialità).
Se da un lato l’abolizione dell’accesso limitato, quanto meno prima della riforma strutturale dell’intera facoltà di medicina, con potenziamento delle strutture e dei docenti e delle scuole di specialità, non appare attualmente percorribile, esistono forme alternative di selezione.
In Parlamento sono stati presentati numerosi disegni di legge sul tema del superamento del numero chiuso.
Il modello cui attualmente sembra ispirarsi la nostra politica è quello francese che prevede per il solo primo anno accademico l’accesso senza filtri ad un’area comune sanitaria con identici corsi ed esami finali e l'ammissione al secondo anno sulla base dei risultati curriculari ottenuti.
Su presupposti simili è stata portata avanti la sperimentazione del Rettore dell’Università di Ferrara Giorgio Zauli che prevede un semestre comune accessibile a tutti e poi una scrematura a febbraio-marzo in base ai voti conseguiti ai test scritti di Fisica medica, Biologia, Istologia e Anatomia umana.
Tali iniziative sono un’occasione per ripensare le modalità d’accesso al corso di laurea in medicina, superando lo strumento inefficace dell’accesso programmato nei limiti numerici approvati fino ad oggi e con le modalità di esame di ammissione come finora praticate.
Quel che è certo è che appare evidente la necessità di un cambiamento radicale e immediato e che qualsiasi riforma la politica scelga di perseguire dovrà porre quale interesse primario la tutela della salute dei cittadini
Quel che è altrettanto certo è che qualsiasi riforma dell’accesso alle facoltà di medicina dovrà essere accompagnata, a più lungo termine, da una radicale riforma dell’istruzione, dell’università e della ricerca con stanziamento dei fondi necessari.
Nel caso in cui venga attuata una riforma c.d. alla francese, che sembra il modello maggiormente attuabile nel breve periodo, dovranno essere potenziate le strutture universitarie in modo da garantire almeno per il primo anno adeguate strutture e un numero di docenti sufficiente.
In ogni caso dovranno essere potenziati la formazione e gli esami on line, che questo periodo ha dimostrato essere un valido, seppur non sempre applicabile, sistema alternativo; dovranno essere riviste le modalità e le tempistiche sia della formazione medica di base che del tirocinio pratico; dovrà essere riconosciuto agli studenti regolarmente iscritti ai corsi di laurea di area medica la possibilità di accedere alle borse di specializzazione universitaria per le corrispondenti discipline e aree di studio, con aumento del numero di queste ultime che non dovrà essere inferiore al numero complessivo dei laureati nell'anno accademico precedente.
Al di là di qualsiasi pregiudizio ideologico e di posizione dei vari soggetti coinvolti, è ormai evidente che il problema esiste e che è giunto il momento in cui la classe politica, tralasciando ogni schieramento, si renda consapevole della necessità di superarlo una volta per tutte anche perché i tempi saranno necessariamente lunghi. L’ ultimo periodo ha dimostrato che i valori in gioco rendono improcrastinabile tale necessità: ci si deve augurare che per una volta l’esperienza insegni qualcosa.