Metafisica
luglio 2021
di Danila Boggiano
È stato, è passato.
È stato, dunque è passato.
In una sequenza sempre irreversibile,
poiché tale è la regola di questa partita persa.
Conclusione banale, inutile scriverne,
se non per il fatto incontestabile,
un fatto per i secoli dei secoli,
per l'intero cosmo, qual è e sarà,
che qualcosa è stato davvero,
finché non è passato,
persino il fatto
che oggi hai mangiato gnocchi con i ciccioli.
Questa è l'ultimo testo di “La gioia di scrivere” pubblicato nel 2009 da Adelphi, libro che raccoglie tutte le poesie del Nobel 1996 Wislawa Szymborska (1923-2012), con l'ottima cura di Pietro Marchesani (1942-2011).
Non si tratta di una poesia fra le più conosciute, essendo diventata la poetessa polacca, dopo il primo sconcerto seguito al Nobel, e perché in Italia era quasi sconosciuta e forse anche a causa di quel suo nome quasi impronunciabile, un fenomeno di culto.
Ora in tanti lo pronunciamo agevolmente a significare che qualsiasi nome ci può diventare famigliare se lo riempiamo di giusto senso. Non è fra le più note questa poesia, dicevo, ma mi pare emblematica della sua poetica, tutta giocata con profonda leggerezza tra l'alto e il basso, tra l'idea e la cosa, tra il simbolo e il dettaglio.
Così il titolo “Metafisica”, semplicemente ciò che sta al di là delle cose fisiche, potremmo configurarlo come “idea”, ma la poeta, lungi dall'approdare a teorizzazioni, sembra smentire l'intento del titolo stesso e lo declina invece umanamente, teneramente, incontro al piccolo esito che tutti ci riguarda. Certo, il punto da cui parte è l'infinito, e lo suggerisce quella terza persona “è stato”, “è passato”, quasi un impersonale, e quel verbo “essere”, il più tragico e il più banale.
Lei stessa infatti riconosce che è inutile scriverne, se non fosse per il fatto che, qualsiasi cosa sia stata e sia trascorsa e nonostante la sua irrilevanza, in qualche punto del Tempo è accaduto un segno, per un istante si è accesa una lampada, o è calata un'ombra, è stata vita.
E non importa quanto grande o piccola vita, né la sequenza irreversibile di cui quel segno fa ormai parte, in ogni caso qualcosa è stato. Ed ecco il dettaglio, il cielo che si umilia di fronte alla terra, e se ne viene morbido e gustoso a proclamare solennemente sé stesso in un piatto di gnocchi.