Riflessioni

L’uomo che a Genova incontrò il profugo Enea

febbraio 2022

di Claudio A. Giberti

Solo ad un livornese divenuto genovese “ciù di zeneixi” potrebbe capitare un’avventura del genere. Incontrare il vedovo Enea col padre Anchise sulle spalle ed il figlioletto Ascanio per mano che in fuga dalle macerie e i lutti di Troia si ritrovano incolumi tra le macerie e i lutti della piazza più bombardata d’Italia..
Entrambe le cose hanno del prodigioso! Che sia opera dell’Enosígeo fratello di Zeus?
E’ Giorgio Caproni.
La sua produzione poetica si prolunga per più di mezzo secolo, “da un mondo di pennini e calamai e di ben rari telefoni all’avvio della rivoluzione informatica globale” (Stefano Verdino), “eppure c’è fra i due tempi un filo ben chiaro di rapporti e di riferimenti… Al fondo c’è sempre l’uomo inseguito dalle sue preoccupazioni e dai suoi tormenti” (Carlo Bo). Sul versante sintattico lo caratterizza uno stile nominale, stringato, chiaro, scevro di parole inutili, “in levare”, come egli stesso definisce lo stile di René Char nella prefazione dell’opera “Poèmes et proses choisis” da lui tradotta per Feltrinelli. A sostegno dell’essenzialità d’espressione l’ecclettico ed eccentrico Max Jacob scrive nel suo “Arte Poetica – Consigli ad un giovane poeta”: “I letterati che farneticano i loro pensieri e tappano i buchi con le parole sono paragonabili ai pittori che credono di ostentare virtuosismo con tratti inutili”.
La poetica caproniana è volutamente parsimoniosa di riflessioni filosofiche e morali ( la precarietà e la limitatezza delle cose e della vita, la solitudine, l’incertezza del futuro, la morte) che però approfondisce con la tecnica del tema con variazioni che il musicista/violinista Caproni conosce molto bene. Paradigmatici sono i quaranta interventi di prosa e poesia sull’incontro con Enea. Egli scava profondamente nell’animo umano tanto da definirsi poeta minatore mutuando il termine dal grande Antonio Machado (“las secretas galerias del alma”).
E’ importante sottolineare l’introspezione, l’“interiorità” che rappresenta l’essenza della sua poesia al fine di evitare che un semplice inventario degli oggetti, delle situazioni, delle persone e dei luoghi possa creare una falsa immagine di superficialità (da Italo Calvino). Tanto più che lo scopo di questa breve dissertazione vuole proprio esser quello di uno sguardo a volo d’uccello sulla presenza di Genova e la Liguria nell’opera poetica caproniana tralasciando le assonanze, le rime e i nascosti “nodi di luce” che ne costituiscono “il cuore”.
Genova è il tema prediletto. La Liguria vi appare solitamente mediata dalla figura della moglie Rina chiamata con affetto Rinuccia e Grillina, la compagna ligure di una vita: “Nei tuoi occhi è il settembre/ degli ulivi della tua cara/ terra, la tua Liguria/ di dolcissimi frutti”. La Liguria specie quella del nord, l’Alta Val Trebbia è spesso lo scenario delle poesie dedicate alla moglie quasi a rimarcare che l’amore per lei è anche amore per la sua terra natia: “Nell’aria di settembre (aria/ d’innocenza sul chiareggiato/ colle)/sopra le zolle/ ruvide mi son care/ le case a colori grezzi/ del tuo paese natale…”; oppure: “Rivedo il tuo paese/di sassi rossi – le sere/ così acute negli occhi,/ tra i pini e le specchiere/ celesti…”; e ancora “Così lontano l’azzurro/ di tenebra della tua Trebbia/ dove ora vivi!... Ma c’è anche il mare di Liguria: “Sei donna di marine,/ donna che apre riviere./ L’aria delle mattine/ bianca, è la tua aria/ di sale – e son di vele/ al vento, son bandiere/ spiegate a bordo l’ampie/ vesti tue così chiare”; e l’odore di salsedine che richiama Dino Campana: “Questo odore marino/ che mi rammenta tanto/ i tuoi capelli, al primo/ chiareggiato mattino”.
E’ la Liguria che ama, la Liguria dei Liguri “E’ terra di macigni./ Terra di gente sassosa./ Terra dove la rosa/ si dice che non alligni./ E dove solo la poiana/ si alza ma così lontana.” (da RES AMISSA) Tuttavia se l’amore per la Liguria è Philos, quello per Genova è Agàpe. Una mera valutazione numerica evidenzia che già nella sua prima raccolta poetica“ Come un’Allegoria” edita da Degli Orfini nel 1936, due poesie su diciassette hanno come titolo una zona di Genova “ Villa Doria-Pegli” e “Borgoratti” e una terza “San Giovanni” la tradizione dei fuochi.
In seguito compariranno anche “Corso Oddone”, “Giro del Fullo” e “Albaro”.
Come dimenticare poi le prime strofe della poesia dedicata a Vittorio Zanicchi: “Ricordo Via Montaldo./ La trattoria a Marassi,/ sotto le frasche, a fianco/ del Carcere…”
E’ però in “Il passaggio d’Enea. Prime e nuove poesie raccolte” pubblicato da Valsecchi nel 1956 che si manifesta interamente il profondo legame tra Caproni e la Superba: vi appaiono la funicolare del Righi, Di Negro, gli “amori in salita”, Salita della Tosse “Genova di tutta la vita/nasceva in quella salita”, Oregina, lo Zerbino, l’ascensore di Castelletto e “Litania”, scritta nel ’52, dove il nome “GENOVA” è ripetuto ben novanta volte. E’ la Città della memoria, del ricordo, del desiderio, del rimpianto. Nelle strofe finali della poesia “A Rosario” viene alla luce il dramma vissuto dal poeta: ”Lascerò così Genova:/ entrerò nella tenebra”. Infatti Caproni lascia definitivamente Genova e la Liguria al termine del conflitto e vi tornerà solo in occasione delle visite ai genitori e d’estate per passare le vacanze a Loco di Rovegno. In “Litania” il poeta manifesta anche il tormento per la città amata ed abbandonata “Genova mia tradita/ rimorso di tutta la vita” e riafferma il legame con lei: “Genova di tutta la vita./ Mia litania infinita”. Queste parole sono essenzialmente parole d’amore. L’amore è il sentimento dominante di tutta la poesia caproniana. Amò la madre, la prima fidanzata, la moglie, il padre, i fratelli, i figli e Genova. In questo senso c’è grande assonanza con l’altro poeta minatore Antonio Machado: “Addio, terra di Soria; addio alto pianoro/…/ Nella disperazione e nella malinconia/ del tuo ricordo, Soria, s’abbevera il mio cuore.” E nella disperazione, nella malinconia del ricordo di Genova s’abbevera il cuore di Giorgio Caproni/Enea. Si perché in piazza Bandiera il poeta non trova l’eroe capostipite della Gens Iulia ma se stesso e la sua generazione sopravvissuta alla guerra che porta sulle spalle il peso di una tradizione ed un passato ormai morenti e per mano un futuro ancora incerto e “lungo da venire”.
“Genova io l’ho tutta dentro. Anzi, Genova sono io. Sono io che son fatto di Genova”. (Ottobre 1977)
Con queste parole, certamente ponderate, Caproni rimanda all’unica Conoscenza degna di questo nome, che non è un sapere, non è una scienza ma uno stato di identificazione nel quale “soggetto e oggetto sono non solo unificati ma più ancora identificati”. Attraverso la Conoscenza che in Caproni passa per Genova si ottiene la liberazione dall’ignoranza, che è la fonte di ogni limitazione dell’essere. L’incontro con Enea non sarebbe potuto accadere in alcun altro luogo al di fuori di Genova. Questa è la grandezza del Poeta.
Le spoglie mortali di Giorgio Caproni e della moglie Rina riposano nel cimitero di Loco di Rovegno.